mercoledì 1 febbraio 2017

Buon anno cinese!

Continuo ad abbandonare questo blog con la scusa che sono impegnata nel lavoro, tuttavia tra i buoni propositi del nuovo anno, c’è sicuramente quello di ricominciare a pubblicare. Perché scrivere, non ho mai smesso, ma pubblicare è un’altra cosa.
Che il nuovo anno sia quello occidentale o quello cinese, poco importa: ho una scusa in più per il mio ritardo di un mese. Quindi, ho deciso di scrivere un pezzo sul capodanno cinese per dare inizio ai buoni propositi.

Il 28 gennaio è stato il primo giorno dell’anno cinese, perché? Perché il calendario cinese, storicamente, non è solare, come il nostro, ma è lunisolare, ovvero incorpora elementi sia di quello solare che di quello lunare e il nuovo anno arriva appunto con la luna nuova che quest’anno è caduta sabato 28 gennaio. Quindi, a partire da quel giorno, i nostri amici cinesi si sono ritrovati insieme alla famiglia e ai parenti più stretti per dare il via alle danze, con la cena della vigilia, lo scambio di auguri e di hongbao e, per tutti coloro che non abitano a Shanghai, anche di petardi e botti da fare invidia ai napoletani.

Decorazioni per l'anno nuovo a Yuyuan, Shanghai
Quest’anno, secondo lo zodiaco cinese è l’anno del gallo. Lo zodiaco cinese divide gli anni in 12 tronconi e assegna ogni anno ad un animale diverso, ovvero topo, bue, tigre, coniglio, drago, serpente, cavallo, capra, scimmia, gallo, cane e maiale. Ci sono diverse leggende che parlano di come siano stati scelti questi animali. La mia preferita racconta che il re del cielo, ovvero il mitologico Imperatore di Giada, sarebbe sceso sulla terra e rimasto colpito dalla bellezza degli animali terrestri. Così colpito da volersene portare via 12 da tenere in cielo. Questa leggenda racconta come in realtà, l’animale più bello di tutti, il gatto, sia rimasto sulla terra perché il topo, invidioso della sua bellezza, l’abbia tenuto all’oscuro del volere dell’imperatore. Il gatto fu sostituito dal coniglio e così ha anche origine l’inimicizia tra topi e gatti. Io tra l’altro sono un coniglio e sta cosa che potrei essere un gatto mi fa rosicare da morire, anche perché io ho una gatta splendida (foto sottostante) che manifesta realmente la bellezza assoluta di tale animale.


Veniamo alle specifiche dei galli. Chi sono i galli, ovvero che caratteristiche anno le persone nate nell’anno del gallo? I nati sotto questo segno sono grandi osservatori e lavoratori, ritengono di avere sempre ragione, anche se qualche volta sbagliano. Amano essere al centro dell’attenzione e auto-compiacersi e complimentarsi. Per la loro vanità, tengono particolarmente al loro aspetto fisico, al loro modo di vestirsi e all’ordine, criticando invece chiunque sia sciatto e disordinato. Sono infatti persone dirette e sincere, con un grande fiuto per gli affari e che non si abbattono di fronte alle difficoltà. I loro numeri fortunati sono il 5, il 7 e l’8, i colori benevoli l’oro, il marrone e il giallo e i loro fiori prediletti sono il gladiolo e la cresta di gallo.

Decorazioni per l'anno nuovo a Yuyuan, Shanghai
L’anno del proprio segno zodiacale è tradizionalmente considerato un anno particolarmente sfortunato, a meno che non sia stato già abbastanza sfortunato l’anno precedente. Quindi tutti i galletti in giro per Shanghai devono stare molto attenti e, secondo la tradizione, vestirsi di rosso il più possibile perché in questo modo si allontana il “Nian”, ovvero il mostro che ogni anno scende sulla terra per mangiare gli umani. Tradizione che la mia insegnate di cinese non si è dimenticata di ricordarmi: “sono un gallo, l’anno scorso è andato così così, quest’anno ho comprato di tutto su Taobao per essere sicura di allontanare la sfortuna”. Io chiamerei anche Vanna Marchi… 

sabato 24 settembre 2016

In morte di Mozzate

Ho abbandonato questo blog per un po’ e me ne dispiace. Ho avuto parecchie faccende di cui occuparmi, tra cui lasciare un lavoro noioso e banale, andare in vacanza, decidere cosa voglio fare da grande e trovare un lavoro nuovo. Ho fatto tutto in meno di due mesi, tranquilli, il 5 settembre ero già al lavoro e il mio ultimo post data il 15 luglio. “Fast paced”, direbbero i miei amici americani di Shanghai.

Comunque questo nuovo lavoro ha previsto un mese di training in Italia e ora, eccomi qui, abitante del Bel Paese da quasi due mesi. Non capitava da quattro anni e meno male. Perché meno male? Ve lo spiego con un raccontino.


Venerdì sera, ore 20.45 circa, approdo nel mio paese natale di nome Mozzate dopo aver cambiato ben quattro treni da Altopascio (LU). Attraverso il paese per recarmi verso casa e mi accorgo di vivere in uno scenario da post-apocalisse: deserto! Ho incontrato in tutto quattro macchine dalla stazione a casa (e io abito a più di un km dalla stazione e sono passata per il centro), due passanti, cinque o sei nordafricani (non saprei di preciso di quale paese) unici animatori della piazza, nessun bar aperto, strade buie senza lampioni e solitudine.

Ora, non che questo paese sia mai stato particolarmente attraente né vitale, ma una morte così mi pare davvero eccessiva. La mia mente ha quindi cominciato a vagare: mi è tornato alla mente quando io volevo andare in Gran Bretagna a imparare l’inglese e la gente mi rispondeva “Ma dove vai così lontano da casa? Pensi che sia meglio? Guarda che tutto il mondo è paese”; oppure quando mi dibattevo, impuntavo e arrabbiavo dicendo che non avrei mai lavorato gratis, tanto meno facendo la pendolare a Milano (sono 35 minuti di treno “carro bestiame” al mattino, immancabilmente in ritardo); oppure quando, tornata in Italia quest’estate, cercavo di far capire ai miei coetanei perché avevo lasciato il mio banale e noioso lavoro precedente senza averne un altro in mano e, sempre con loro, mi indignavo delle misere offerte da morti di fame che le aziende della zona mi facevano. E immancabile come il ritardo dei treni mi veniva detto che questa era la situazione, dove pensavo di andare e cosa volevo ottenere, questo è quello che c’è e di questo mi dovevo accontentare.

Oggi ho deciso di rispondere. Innanzitutto, tutto il mondo non è paese: esistono stili di vita diversi, abitudini diverse e ambienti diversi. Inoltre, non è che ci si deve accontentare di quello che c’è anche se è sbagliato: se non va bene, lo si deve cambiare. Il problema è che per cambiarlo, bisogna avere le caratteristiche giuste. Bisogna lavorare tanto, essere competenti, aver studiato, avere ancora voglia di studiare e imparare, bisogna essere flessibili, bisogna pensare che si può sempre migliorare. Infine, forte di queste competenze, ci si butta, si osa, si dimostra di essere bravi, affidabili, di portare risultati e quindi si può pretendere di più.

Il problema quindi non è lo stallo dell’ambiente, ma le persone: sono le persone ad essere spente, incompetenti e poco intraprendenti e quindi automaticamente si accontentano perché non possono pretendere altrimenti. Non ne hanno il diritto. Il paese ne è la dimostrazione: Mozzate è un comune con 71 milioni di euro di debito e non mi stupisce che non vi siano i lampioni nelle strade. Ma le strade sono fatte anche di persone e di esercizi commerciali e, se anche questi si ritirano perché “tanto cosa vuoi fare?”, non mi stupisce nemmeno che regni il deserto. Quindi smettetela di incolpare le amministrazioni comunali (ovvero “l’altro” in opposizione al “voi”) e cominciate a pensare cosa fate voi per vivere bene. A giudicare dalla situazione, direi nulla: vi siete accontentati di tutto e sempre, dal lavoro, alle amicizie, al treno in ritardo, al buio per le strade.


Mentre arrivavo verso casa, ho fatto questa fotografia. Lo so, fa schifo, ma che volete, era buio e l’ho fatta con il telefono. In ogni caso, è un simbolo: la luce che vedete era casa mia, illuminata a giorno, con il buio totale intorno e io ne sono stata orgogliosa. Buon sabato!

venerdì 15 luglio 2016

Maiali in libertà

L’estate si avvicina, tutti abbiamo voglia di vacanze, anzi sogniamo le agognate vacanze, e lo stesso fanno i cinesi. L’industria del turismo è infatti in piena crescita, con vantaggi, svantaggi, problemi e grandi opportunità per tutti.


Premessa
La Cina è stata per lungo tempo un Paese economicamente “autosufficiente” e chiuso politicamente. Non solamente durante gli anni più duri del maoismo, ma anche durante l’era imperiale precedente: la Cina è sempre stata storicamente un paese isolato e poco interessato all’esplorazione, tanto che i primi contatti con l’Occidente si hanno durante il 19° secolo con le guerre dell’oppio.
La nuova apertura economica e la globalizzazione hanno tuttavia sradicato quest’atteggiamento e i cinesi si stanno pian piano aprendo alla scoperta del mondo, favorendo la crescita esponenziale dell’industria del turismo. Tra i fattori che hanno portato a questo cambiamento troviamo sicuramente l’innalzamento delle condizioni socio-economiche, in particolare del reddito disponibile in Cina, ma anche una serie di politiche governative in supporto alla promozione del turismo stesso. Il China National Tourism Administration (CNTA) è l’ente incaricato di seguire tutte le attività relative al turismo sia outbound (Cina verso altri paesi) che inbound (altri paesi verso Cina). A partire dal 1997, una serie di agevolazioni al turismo outbound sono state emesse, tra cui l’allentamento progressivo delle condizioni per uscire dal paese, ma anche agevolazioni nel rilascio delle licenze alle agenzie di viaggio che si occupano di turismo outbound e aumento dei giorni di ferie che i cittadini cinesi possono dedicare al turismo. Le tre grandi occasioni sono rappresentate dal capodanno cinese (tra gennaio e febbraio), la Festa della Repubblica (ottobre) e la festa dei lavoratori (maggio) alle quali si aggiungono una serie di festività sparpagliate durante l’anno in cui i cinesi godono ormai di almeno un giorno di vacanza intero.

Caratteristiche del turismo outbound cinese
Nel 2015, ci sono stati ben 120 milioni di turisti cinesi che sono andati all’estero, un aumento del 12% rispetto al 2014. Nel 2007, per meglio comprendere i dati, i turisti cinesi erano circa 40 milioni, il che rappresenta un aumento pari al 300%. Uno studio prevede che nel 2019 il numero dei turisti cinesi raggiungerà i 174 milioni.

Le 10 maggiori destinazioni del turismo cinese sono innanzitutto i paesi asiatici, sia per vicinanza geografica che culturale. Quindi, Giappone, Tailandia e Corea del Sud. Seguono Stati Uniti, Singapore, Australia, Russia, Indonesia e Nuova Zelanda. Il decimo paese è la Gran Bretagna, primo paese europeo per visite cinesi. I turisti cinesi sono anche i più spendaccioni: secondo le statistiche, nel 2014 i cinesi hanno speso 165 miliardi di dollari, mentre secondo i dati più recenti, nel 2015 dovrebbero aver speso quasi 200 miliardi di dollari. La fonte maggiore delle loro spese è ovviamente lo shopping, che ammonta al 57.76% del totale, seguito da alloggio, trasferimento e vitto.
L’Europa viene subito dopo i paesi asiatici come meta più richiesta. Data la lontananza, è la meta più ambita per i viaggi più lunghi, spesso con la combinazione di diversi paesi e città in un viaggio solo, vista anche la politica per i visti, abilitata solitamente per tutta l’area Schengen (attualmente hanno aderito 26 paesi europei). 

Per quanto riguarda le fasce di età, la Cina ha dei turisti particolarmente giovani: oltre il 56% dei turisti sono di età compresa tra i 36 e i 27 anni, il 26% tra i 36 e i 46 anni, l’11% più giovani di 27 anni e solamente il 6% è composto da persone dai 46 anni in su.

La modalità tuttora prevalente per i viaggi è rappresentata dai Tour Operator (agenzie di viaggio, agenzie turistiche, organizzazioni turistiche private, ecc.) che organizzano viaggi di gruppo più o meno lunghi dove si compra un pacchetto e il turista si dimentica di tutto il resto, ci pensa l’agenzia. Si tratta di persone appartenenti alle generazioni degli anni ‘50 e ’60, abbastanza ricchi e disposti a viaggiare nei più famosi posti in tutto il mondo nel più breve tempo possibile come dimostrazione del loro status symbol personale.

Dai viaggi organizzati ai viaggi “fai da te”
Le caratteristica tuttavia più interessante che si è manifestata di recente è la tendenza, soprattutto per i turisti più giovani, ad abbandonare i viaggi di gruppo, preferendo invece il viaggio “fai da te”. Diversi fattori portano a questo tipo di scelta: dall’interesse culturale al risparmio economico alla voglia di fare un’esperienza non convenzionale.

Partendo da esperienze pregresse quali precedenti viaggio di lavoro, oppure ottimi resoconti ricevuti dagli amici, o semplicemente interessi personali, i nuovi turisti cinesi, giovani, pianificano e comprano i loro viaggi in totale autonomia, ovviamente grazie all’aiuto di Internet. Costa meno e permette loro di vivere un’esperienza unica. Si accontentano di strutture ricettive non particolari, come gli ostelli e i B&B, ma non disdegnano nemmeno essere ospitati da amici o famiglie locali. Non sono solamente interessati allo shopping, ma amano anche interagire con la cultura locale, intrattenere relazioni con i residenti e provare i cibi del posto. Sono di conseguenza meno attratti dalle classiche destinazioni turistiche, ma sono disposti a spendere somme anche cospicue se l’attività proposta è nei loro interessi. Una parte cruciale è infine giocata dalla condivisione di esperienze: sia durante il viaggio sia una volta tornati a casa, è necessario pubblicare foto e impressioni sui social media più in voga, in particolare Wechat e Weibo. Si avvicinano insomma sempre di più ai loro coetanei stranieri. Una mia amica cinese tiene per esempio un blog su Wechat con le sue esperienze di viaggio: abituata a viaggiare 3 o 4 volte all’anno fuori dalla Cina, è una turista “fai da te”, prenota tutto su Internet in maniera autonoma e il motivo principale dei suoi viaggi è visitare qualche conoscente o esplorare mete tropicali, spesso attraverso il diving. Il suo blog racconta tutte le sue esperienze ed è corredato di foto, d’informazioni su come raggiungere un determinato luogo, cosa poter fare, i prezzi delle diverse attività e, naturalmente, una sessione interamente dedicati ai luoghi migliori dove assaporare le pietanze locali. 

Problemi e possibili soluzioni
Quando 120 milioni di cinesi si muovono in giro per il mondo, è naturale che questo spostamento crei dei problemi o dei disagi di varia natura. La maggiore parte dei turisti cinesi infatti rimane ancorata alla propria cultura tradizionale, soprattutto per chi è all’estero per la prima volta. Ma ciò di cui si fanno infelicemente portavoci sono i loro comportamenti maleducati e spesso irrispettosi. 

Di sicuro tutti ricordano, dato che ha avuto riscontro anche sulla stampa italiana e che addirittura Wikipedia presenta una pagina dedicata al fatto, il 15enne cinese di Nanchino che ha inciso un graffito su una piramide egizia a Luxor. Il giovane irriverente è stato scovato tramite il suo nome (aveva scritto “Ding Jinhao è stato qui”) dai netizen cinesi e la sua famiglia è stata costretta a scusarsi pubblicamente anche con l’Egitto. Si sono discolpati dicendo che non avevano mai pensato di riferire al ragazzo che fare graffiti ovunque è una cosa sbagliata (!!!). 

Celebre anche la scena della babysitter (Ayi) cinese che lascia fare i bisogni al suo piccolino di fianco al negozio di Burberry a Londra. Citare episodi simili può diventare lungo dato che accadono un po’ ovunque, da Hong Kong agli autogrill della Germania. Io personalmente ho assistito alla “pisciata” di un bambino di una decina d’anni, liberata da un ponte all’interno di un parco nazionale. Quando disgustata ho fatto notare che sulla mappa i bagni erano molti e tutti segnalati, mi è stato arrogantemente risposto che erano troppo lontani. 

Alle Maldive, i proprietari degli hotel erano addirittura stati costretti a ritirare i bollitori dalle stanze perché i cinesi, anziché andare a mangiare nei ristoranti del luogo, preferivano degustare ciotole di spaghetti istantanei (per chi si chiede cosa siano, si tratta di spaghetti disidratati aromatizzati vario modo che, una volta aggiunta dell’acqua, possono essere immediatamente mangiati).

In generale, come racconta molto bene una cinese di nome Echo Wang nel libro “Pig on the loose” (letteralmente “Maiali in libertà”), i cinesi offrono spesso l’immagine del turista rude, arrogante, maleducato, incivile, poco attento all’igiene e distruttivo: un maiale allo sbando, appunto. Soprattutto quando si muovono in gruppo, tendono a parlare a voce molto alta e a dedicarsi a variegate attività tra cui ruttare, sputare, liberarsi il naso a terra e fare flatulenze in pubblico. Sono soliti saltare le file agli aeroporti e creare grandi ingorghi agli sportelli: uno fa la coda e tutti gli altri lo raggiungono dopo. Nei ristoranti sporcano, masticano rumorosamente e spesso fumano, ignorando i divieti. Negli alberghi tengono la porta aperta per comunicare urlando da una stanza all’altra. Nei bagni non sempre sanno come usare le tazze perché abituati alle turche, sporcano in giro e non tirano l’acqua. Negli spazi pubblici non hanno nessun interesse a tenere pulito e ordinato, anzi abbandonano i loro rifiuti ovunque senza preoccuparsi di lasciare il luogo come l’hanno trovato. 

Benché tutte queste attività siano assolutamente consuete in Cina e non creino assolutamente nessun problema, lo stesso non si può per le altre nazioni. Non di rado i ristoranti e gli alberghi si rifiutano di ospitare cinesi per non perdere altri clienti, annoiati e infastiditi dai suddetti comportamenti.

Per contrastare la brutta immagine estera che i cinesi danno di sé, la CNTA ha redatto, nell’autunno 2013, una “Guida di comportamento civile all’estero”, composta di 64 pagine di regole anti-maleducazione. I consigli sono tra i più disparati, da non mettersi le dita del naso in pubblico, a non chiamare negri gli africani a non rubare il giubbotto di salvataggio sull’aereo. Ci sono anche regole dedicate ai costumi del luogo, come non regalare crisantemi in Francia e fazzoletti in Italia, o chiedere la carne di maiale nei paesi arabi.

Per questo come per tanti altri ambiti, la chiave di svolta è l’educazione. Come dice Echo, bisogna educare le persone al rispetto reciproco fin da bambini, stigmatizzando e punendo i comportamenti scorretti e oltraggiosi. Propone addirittura multe salate per i cinesi maleducati e un sistema a punti per le agenzie di viaggio che portano in vacanza i buzzurri: che possa funzionare?


Il testo di questo post è stato utilizzato per realizzare la puntata “Maiali in libertà”, disponibile sul sito di Radio Meyooo e come podcast su Ipodcast cercando “Radio Meyooo”. 

domenica 10 luglio 2016

Mai dire calcio

Dopo la clamorosa sconfitta di sabato scorso, non si poteva non dedicare una puntata al calcio in Cina: cosa pensano i cinesi del calcio, perché sono appassionati e per quale motivo sta suscitando così grande interesse da arrivare in Europa e comprare le società sportive.

Il mitico Zhang Jindong che prova a dire "Forza Inter"
Si ritiene che l’ossessione cinese per il calcio comincia il 15 giugno 2013, quando la nazionale cinese perde 5-1 con quella thailandese, peraltro nello stesso giorno in cui il presidente Xi Jinping, grande amante del calcio, festeggia il suo 60° compleanno. Sui social network appare un contributo molto apprezzato che dice: “Noi, 1.3 miliardi di cinesi, abbiamo perso con la Tailandia, 65 milioni di abitanti, un quarto militari, un quarto monaci, un quarto trans e solo il resto utile per il vivaio calcistico”. Nella stessa occasione, anche la stampa nazionale parla di vergogna e imbarazzo per una nazionale che nella classifica Fifa si trova all’81° posto.

Cosa stava succedendo? La debolezza calcistica stava amplificando sentimenti d’insicurezza e frustrazione del popolo cinese, conseguenze che il partito non si può assolutamente permettere ai fini dello sviluppo economico armonioso e soprattutto pacifico, senza contestazioni. Xi Jinping si trova quindi costretto a correre ai ripari, mettendo tra i punti cardine delle sue riforme “lo sviluppo del gioco del calcio”, allo scopo di trasformare la Cina in una potenza calcistica. Xi Jinping dichiara infatti di avere tre sogni: che la Cina si qualifichi per la Coppa del Mondo, che la possa ospitare e che un giorno la possa vincere.

Sogni particolarmente ambiziosi, dato che la Cina si è qualificata ai Mondiali solo una volta nel 2002 e in quell’occasione ha perso tre partite su tre senza riuscire a mettere in porta nemmeno un pallone. Vediamo le tappe con cui il sogno dovrebbe avverarsi.

La prima tappa è stata l’avvallamento dal punto di vista politico. Il 27 novembre 2014 vengono rese note politiche centrali che prevedono di rendere il football materia obbligatoria d’insegnamento nelle scuole nonché fonte di crediti formativi. Entro il 2017 almeno 20,000 scuole elementari e medie dovranno essere dotate d’impianti sportivi per formare 100,000 calciatori di livello. Nel marzo 2016, il Consiglio di Stato ha reso noto un piano per cui, nei prossimi cinque anni, si prevedono di aumentare le scuole calcio da 5,000 a 50,000.

La seconda tappa è stato creare attrattiva per gli investimenti e in questo, il Guangzhou Evergrande, squadra di calcio dell’omonima città, fa da apripista. Nel 2007, la squadra di Guangzhou viene acquistata dall’Evergrande Group, una delle più importanti compagnie immobiliari della Cina, che inizia ad investire nella società. Il Guangzhou è la prima squadra cinese ad acquistare non giocatori a fine carriera, come facevano tutte le altre, ma a comprare ottimi giocatori poco conosciuti al pubblico cinese ma funzionali al gioco della squadra. Nel 2011 arriva quindi Dario Conca, centrocampista brasiliano e miglior giocatore del campionato brasiliano; nel 2012 ingaggiano invece Marcello Lippi come allenatore, ma anche l’attaccante paraguaiano Lucas Barrios e l’attaccante brasiliano Elkeson. Nel 2014 arrivano Alessandro Diamanti e Alberto Gilardino. Dal 2011 al 2015, il Guangzhou vince sempre il campionato cinese (Chinese Super League) e, nel 2013 e nel 2015 vince anche l’AFC (Asian Football Confederation) Champions League. La strategia, insomma, sembra pagare.

Dalla vittoria del Guangzhou nella Champions League asiatica, investire nel calcio diventa il trend del momento. Con un investimento pari a 850 miliardi di euro per i prossimi 10 anni, il governo si è assicurato l’interesse delle più grandi aziende del paese, creando una solida organizzazione e accordi di sponsorizzazione redditizi. Secondo un articolo a mio avviso molto interessante, sempre grazie alla vittoria del Guangzhou alla Champions asiatica, il campionato cinese ha incassato circa 50 milioni di euro grazie a nuovi accordi di sponsorizzazione, mentre negli anni precedenti gli incassi dagli sponsor non avevano mai superato i 5 milioni di euro. I profitti, poi ridistribuiti tra le squadre delle varie serie (in Cina il campionato di “serie A” si chiama Chinese Super League, quello di “serie B” China League One), sono triplicati a partire dal 2014. Lo stesso articolo parla anche dell’aumento dell’interesse dei cinesi per il calcio nazionale: spettatori aumentati del 16% con Guangzhou Evergrande che ha registrato più di 45,000 spettatori a partita.

Al Guangzhou seguono quindi tutti gli altri investimenti. Nel gennaio 2015, Dalian Wanda, un gruppo immobiliare dai vari interessi (lo stesso che ha appena inaugurato un parco divertimenti in stile Disneyland a Nanchang e il cui capo, Wang Jianlin, è forse meno famoso del figlio, Wang Sicong, il “tuhao” che in una notte al KTV ha speso 2.5 milioni di rmb, pari a circa 330,000 euro), ha rilevato il 20% dell’Atletico Madrid. Lo scorso dicembre, invece, una cordata d’imprenditori cinesi tra cui figurano banche, società d’investimento e la China Media Capital (CMC) acquista il 13% delle quote del City Football Group, il gruppo che controlla la squadra del Manchester City e altre squadre minori. A febbraio 2016 sempre Wanda Group acquista Infront, ovvero la società che detiene i diritti TV di calcio e altri eventi sportivi in Italia. A maggio 2016, Tony Xia, magnate del gruppo cinese Recon il cui business spazia dall’energia pulita all’architettura, ha invece acquistato per intero l’Aston Villa, squadra di Birmingham. Finiamo col citare l’acquisto più famoso, almeno in Italia, dei cinesi, ovvero quello dell’Inter, avvenuto il mese scorso, da parte del gruppo Suning, già detentore della squadra cinese del Jiangsu Suning.

Secondo un recente articolo redatto da China Files per il Fatto Quotidiano, il calcio è sostanzialmente un altro mezzo per raggiungere quello che viene chiamato in cinese “Zhongguo meng”, letteralmente “il sogno cinese”. Il concetto è che, dopo più di un secolo di umiliazioni perpetrate dall’Occidente nei confronti della terra di mezzo (iniziate con le guerre dell’oppio e continuate con la rivolta dei Boxer, la perdita di alcune città cinesi come Hong Kong e l’invasione del paese da parte dei giapponesi), la Cina sta ora risorgendo a grande potenza nell’arena internazionale. Ovviamente, per gli imprenditori le ragioni degli investimenti sono ben altre, tuttavia l’approvazione “dall’alto”, l’idea che investire nello sport e nel calcio sia “glorioso” secondo i dettami del partito, sono tutti incentivi benauguranti.

Cosa ci guadagnano gli imprenditori multimiliardari cinesi? Sempre secondo lo stesso articolo di China Files, ci sono cinque fattori di guadagno. Innanzitutto, la benevolenza del partito per la loro volontà di contribuire a “elevare lo status internazionale del Paese”, sempre come cita lo stesso articolo di China Files. Poi, investire all’estero garantisce visibilità del proprio brand anche all’estero. Terzo fattore è la capacità degli imprenditori cinesi di “creare sistema” (lo dico per gli amici italiani delle istituzioni di Shanghai che tanto si divertono a usare questo termine: il sistema che creano i cinesi si basa sull’investimento, potreste prendere spunto…!) e assicurarsi, attraverso l’acquisizione delle squadre, una posizione privilegiata negli spazi pubblicitari su televisioni e media in generale. Il quarto fattore è che l’investimento è un modo legittimo di esportare capitali all'estero, in particolare in paesi in cui vige la certezza del diritto. Infine, l’acquisizione di competenze e know-how: esattamente come per i settori industriali, anche nel calcio i cinesi acquistano, osservano, imparano dai grandi per poi fare proprie le capacità e sfruttarle a loro vantaggio.

Per tutti coloro che vedono di buon occhio gli investimenti cinesi, è bene quindi “internazionalizzarsi” e cominciare a seguire anche il calcio cinese. Sappiate dunque che l’organo che gestisce il gioco del calcio in Cina si chiama Federazione calcistica della Repubblica Popolare Cinese. Il campionato si divide in tre livelli: il primo, chiamato “Chinese Super League” con 16 squadre tra cui figurano appunto il Guangzhou Evergrande, il Beijing Guoan (quest’anno allenato da Zaccheroni), l’Hangzhou Greentwon e il Jiangsu Suning; il secondo livello chiamato China League One e il terzo livello chiamato China League Two. Il campionato inizia tra febbraio e marzo di ogni anno e finisce tra novembre e dicembre. Le ultime due squadre della serie A vengono retrocesse e le prime due della serie B vengono promosse e lo stesso avviene tra serie B e serie C.

Quasi tutte le società professionistiche hanno il settore giovanile che parte dall’età dei 14 anni e alcune di queste hanno anche la scuola calcio, che parte invece fin dagli 8 anni di età. Ora, con i nuovi investimenti, stanno aumentando le scuole così come i campionati giovanili da cui attingere alle nuove stelle calcistiche.
A Pechino dal 2007 lavora un italiano di nome Francesco Abbonizio, allenatore prima in una scuola privata di calcio cinese e, successivamente, fondatore e allenatore della sua scuola calcio chiamata Beijing Kickers. Secondo un articolo sulla Stampa ad opera di Cecilia Attanasio Ghezzi, quando Abbonizio è arrivato a Pechino le scuole erano solamente tre o quattro, a fronte delle circa duecento del marzo 2016 in cui il 30% degli iscritti sono cinesi.

Ma il primato per la migliore scuola calcio al mondo è detenuto dalla  Evergrande Football School, la scuola calcio del Guangzhou situata a Qingyuan, a pochi chilometri da Guangzhou stessa. La scuola ospita 2.600 ragazzi dai 10 ai 17 anni, è dotata di 50 campi da calcio, una piscina olimpionica, campi da basket e da tennis, palestre, laboratori, dormitori e mense.
Interessante il commento di uno dei 24 mister stranieri ingaggiati per formare i ragazzi e i CT cinesi. Sembrerebbe che i ragazzi sono bravi, ascoltano e lavorano sodo ma mancano d’iniziativa, d’interesse al gioco di squadra, di pensiero alla tattica. Sarà un caso che il campioncino della scuola non sia un cinese han, ma un uiguro?


Il testo di questo post è stato utilizzato per realizzare la puntata “Mai dire calcio” per Radio Meyooo, disponibile all’ascolto direttamente sul sito o su Ipodcast cercando “Radio Meyooo”. 

venerdì 17 giugno 2016

Notte prima degli esami

Mentre la scorsa settimana festeggiavamo la festa delle barche drago, tenutasi in Cina il 9, 10 e 11 giugno, in contemporanea si teneva un altro importantissimo evento per i cinesi: gli esami di maturità, in cinese “gaokao”.

Fonte: Reuters China
Il “gaokao” (高考), abbreviazione di “gaozhong kaoshi”, significa letteralmente esame delle scuole superiori, il corrispondente del nostro esame di maturità. La grande differenza tra i due sistemi è che, mentre il nostro esame di maturità consiste sostanzialmente in una valutazione generale dei cinque anni di scuola superiore, in Cina il gaokao rappresenta anche la selezione statale per l’ammissione all’università: più alto è il punteggio che gli studenti ottengono nelle prove, migliore sarà l’università alla quale avranno accesso. Di conseguenza, anche lavoro, stipendio e stile di vita che ci si potrà permettere nel proprio futuro, concetto strettamente similare al modello americano.

Storia
Il gaokao affonda le sue radici in profondità nella storia cinese. Si tratta infatti di un’antica tradizione che riporta agli esami imperiali, sostenuti fino al 1905 dai letterati che volevano accedere alle cariche pubbliche dello stato cinese. A testimonianza dello stretto legame con la tradizione degli esami imperiali, rimane tutt’oggi il termine “zhuangyuan” che un tempo si riferiva a colui che aveva ottenuto il punteggio più alto negli esami imperiali, mentre oggi designa colui o colei che ha ottenuto il punteggio più alto al gaokao. Siccome gli esami si differenziano tra il gaokao per le materie umanistiche e il gaokao per le materie scientifiche, ogni anno si avranno due zhuangyuan.
Ritornando alla storia, il gaokao è stato introdotto nel sistema scolastico cinese nel 1977 e da quel momento in poi è rimasto una costante della vita degli studenti cinesi delle scuole superiori. Prima del 2003, il gaokao si teneva a luglio, successivamente è stato invece anticipato al mese di giugno; la decisione deriva dal timore che il clima molto caldo, soprattutto nelle regioni al sud della Cina, possa influire negativamente sulla resa degli studenti.

Le date del gaokao sono ogni anno sempre le stesse: il 7,8 e 9 giugno. Quest’anno hanno partecipato al gaokao 9 milioni e 400,000 studenti circa, numero in calo di 20,000 rispetto al 2015. Nessuno quest’anno ha battuto il record tenuto dal signor Wang Xia, 86 anni, proveniente dalla città di Nanjing e che rimane decisamente al primo posto della classifica di partecipante più vecchio. L’anno scorso ha partecipato per la 15esima volta dicendo che, avendo solo un diploma di scuola professionale in materie medico/sanitario, vorrebbe invece ottenere una laurea in medicina per poter operare come dottore.

Funzionamento
L’esame si svolge nell’arco di due giorni per gli studenti che provengono dal corrispettivo del nostro liceo artistico (“yishu gaozhong”), mentre si svolge invece in tre giorni per tutti coloro che provengono dal corrispettivo del nostro liceo (“putong gaozhong”) che in Cina è solamente di una tipologia.

Nella maggior parte delle province, l’esame si compone di tre materie obbligatorie per tutti gli studenti: letteratura cinese, matematica e una lingua straniera. Vi è inoltre un'altra materia a scelta che si differenzia sulla base della tipologia di gaokao che si intende intraprendere: per l’indirizzo umanistico si deve scegliere tra scienze politiche, storia o geografia; per l’indirizzo scientifico tra fisica, chimica o biologia. Questo sistema non è uniforme in tutte le province, ma è quello che prevale nella maggior parte del territorio. Le province sono infatti relativamente autonome nella scelta delle materie da esaminare e quindi vi sono materie speciali che vengono affrontate solo nell’area di riferimento del proprio hukou.

Il punteggio totale ricevuto dallo studente è dato dalla somma dei voti presi per ogni materia. Di solito, per le materie obbligatorie, il massimo del punteggio è 150 per ogni materia, mentre per la materia a scelta è 300. Anche in questo caso, cambiando provincia, si cambia sistema e il punteggio massimo varia di anno in anno e di provincia in provincia.

In base al punteggio ottenuto, lo studente potrà avere accesso a università di primo livello, come l’Università di Pechino (Peking University) o l’Università Tsinghua, ovvero le università più prestigiose che assicurano un futuro brillante; le università di secondo e terzo livello, posizionate a un livello più basso nella classifica ma che assicurano comunque un diploma di laurea (in Cina la laurea di primo livello dura 4 anni, mentre la laurea specialistica 2 o 3 anni). Infine vi sono i “dazhuan”, ovvero le scuole professionali, di durata di 3 anni), i quali non conferiscono un vero e proprio certificato di laurea, ma un altro tipo di certificato non riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione che quindi non permette agli studenti né di poter proseguire con gli studi (a meno che non si vada in altra scuola professionale o in Cina o all’estero), né di ottenere, in generale, i migliori impieghi.

A seconda della provincia di appartenenza, gli studenti possono fare richiesta di entrata in una determinata università sia prima dell’esame, tenendo ben presente quale punteggio minimo devono ottenere per entrarci, oppure come avviene più frequentemente in tempi recenti, dopo che sono venuti a conoscenza del loro punteggio, compilando una lista in ordine di preferenza. Per ogni tipo di università, gli studenti possono selezionare 5 o 6 preferenze di istituzioni e programmi.

Commenti
Molte famiglie, proprio in base al punteggio ottenuto, decidono se mandare il proprio figlio a studiare nelle università di secondo e terzo livello, che certamente non hanno grande prestigio nella società cinese, oppure all’estero. Lo studio all’estero quindi non rappresenta soltanto una scelta voluta con l’intento di aprire la mente, fare nuove esperienze e ricevere un’educazione più libera, ma anche un modo per assicurarsi un futuro maggiormente prospero rispetto a quello che spetterebbe stando in madrepatria.

Ad esempio, nell’anno accademico 2015/2016, i progetti Marco Polo e Turandot hanno portato circa 3800 studenti a studiare negli atenei italiani nell’anno accademico 2015/16), ma quanti di questi hanno scelto l’Italia perché in discipline quali arte, musica, design, architettura e fashion l’Italia fa da padrone? Purtroppo, molti giovani cinesi scelgono l’Italia come meta del loro studio all’estero poiché è sufficiente un punteggio di 380 al gaokao, punteggio considerato in Cina molto basso che permetterebbe accesso solo a università di basso livello.

Inoltre, la pressione a cui sono sottoposti gli studenti cinesi è talmente forte che quello del gaokao è diventato un problema nazionale. Gli studenti devono memorizzare un grande volume di informazioni così da potenziare le loro abilità di scrittura per gli esami. In questo modo, si sviluppa una forte memoria, una grande abilità logica e forti capacità analitiche, ma poca immaginazione, poco pensiero critico e poca creatività.

Gli studenti non sono tuttavia gli unici a subire la pressione del gaokao, ma anche gli insegnanti. La società pone molta attenzione sul tasso d’iscrizioni alle università e quindi gli insegnanti sono giudicati dai genitori sulla base del loro successo nel preparare gli studenti affinché vengano ammessi alle migliori università.

Infine, gli studenti sono portati a vedere il gaokao, e di conseguenza la vita in ogni suo aspetto, come un gioco crudele, una guerra silenziosa in cui anche gli stessi amici e compagni di classe sono percepiti come dei potenziali e rischiosi nemici. Un proverbio molto popolare riferito al gaokao recita infatti: “Guadagna un punto e sorpasserai 1000 persone”, dove il verbo sorpassare non è reso con la sua accezione più comune, bensì con il termine “gandiao” (干掉) che  significa letteralmente far fuori qualcuno.

E’ chiaro in ogni caso che in questo sistema si perde totalmente la validità della singola persona, vengono ignorate le emozioni, i valori e la personalità del singolo a favore del punteggio. Non di rado, dunque, gli studenti soffrono di forte ansia prima e durante il test, alcuni svengono nell’aula dell’esame, altri ancora sviluppano differenti livelli di depressione clinica che arrivano addirittura al suicidio.

Politiche recenti
Il tema scottante del gaokao 2016 comunque sono le nuove politiche messe in atto dal governo centrale. Nella speranza di bilanciare lo sviluppo economico tra le zone costiere e quelle dell’entroterra cinese, nel 2014  sono state introdotte nuove politiche in un progetto pilota a Shanghai e nella provincia dello Zhejiang che dovrebbero prevedere una maggiore facilità di accesso alle università delle regioni costiere per tutti coloro che arrivano dall’entroterra o fanno parte di minoranze etniche. Il meccanismo attuale d’iscrizione all’università prevede che gli atenei riservino un certo numero di posti agli altri studenti locali, assegnando a richiesta altri posti agli studenti provenienti da altre regioni. Con le nuove politiche, ad ogni studente è assegnato un punteggio, basato su diversi fattori che ora comprendono anche l’appartenenza a una minoranza etniche o la località di provenienza, aumentando di fatto la possibilità agli studenti provenienti dalle altre regioni meno sviluppate dell’entroterra e agli studenti appartenenti alle minoranze etniche di entrare nelle università più ambite.

Tali politiche hanno ovviamente scatenato forti preoccupazioni e sentite proteste da parte di genitori e adolescenti stessi. Temono infatti che l’aumento dei posti riservati agli studenti provenienti dalle province meno sviluppate dell’interno del Paese possa escludere i loro stessi figli dall’accesso all’università, conseguenza che ovviamente ritengono ingiusta. Questo timore di subire un’ingiustizia deriva anche dal fatto che regioni quali Hubei e Jiangsu hanno rispettato per decenni e con grandi sacrifici la politica del figlio unico, per il quale ovviamente si aspettano il meglio. Aprire la strada ai giovani da altre aree del paese o ai giovani appartenenti a minoranze etniche che, si ricorda, non sono mai state vincolate dalla politica del figlio unico, è ovviamente percepito come ingiusto.
In conclusione, il governo dovrebbe, da un lato, garantire i diritti consolidati degli abitanti delle province più ricche e, dall’altro, riuscire a ridistribuire risorse e opportunità di studio e di lavoro ai propri cittadini nati e cresciuti nelle regioni interne del paese.

Curiosità
I zhuangyuan, ovvero gli studenti che hanno ottenuto il punteggio più alto, diventano delle specie di star: lo scorso anno, Liu Nanfeng, il migliore studente nel gaokao umanistico, è stato recuperato dalle sue vacanze a Chengdu con un servizio automobilistico speciale con chauffeur privato organizzato direttamente dall’università di Pechino che cercava di plagiarlo per farlo entrare nel loro ateneo.

L’anno scorso ben 1,465 studenti sono stati squalificati dai testi con l’accusa di essere “immigrati del gaokao”. Sembrerebbe che questi studenti, tra i quali anche figli di molti ufficiali del Partito siano migrati in Mongolia Interna per fare l’esame perché le prove, in quella regione, sembra siano più semplici.

Se da un lato i giovani sono concentrati al massimo delle loro forze, ancora più tesi di loro sono i genitori. Sul sito del ministero dell’istruzione si possono trovare indicazioni e suggerimenti, da come comportarsi con i figli a che cosa dar loro da mangiare per migliorare le prestazioni. Per i genitori in trepidante attesa del loro pargolo fuori dalle scuole vengono persino allestiti dei punti ristoro: acqua, posti a sedere e ombrelli per ripararsi da sole o pioggia vengono forniti, insieme a forniture mediche d’emergenza in caso alcuni genitori prendessero colpi di sole.

Si può anche aprire la porta del business sul gaokao: dagli studenti universitari assolti a 50 euro al giorno per ripassare e sovrintendere i ragazzi più piccoli nella preparazione pre-esame, ai venditori di sostanze e prodotti capaci di trasformare gli studenti in piccoli geni. Va per la maggiore, in questo momento, il “Naojiajia”, ovvero cervello eccellente. Si tratta di un kit miracoloso che promette di accrescere del 50% le proprie capacità di apprendimento, costituito da stimolatore di memoria, DVD, libretto di istruzioni e, per chi lo prenota via telefono, anche una confezione di pastiglie di DHA di potenziamento degli stimoli. Costo tra i 500 e 780 rmb.

Ma le assurdità non finiscono certo qui. A Tianjin troviamo dottori che, incoraggiati dai genitori, prescrivono la pillola a studentesse perché in modo tale da non essere “disturbate” dal ciclo mestruale durante i giorni di esame. Le fabbriche spesso lavorano a turni ridotti per mancanza di personale, gli uffici cambiano orario negli uffici e il traffico viene bloccato intorno alle zone di esame. Vengono anche apportate ingenti misure di sicurezza per proteggere la serietà delle prove. Lo scorso anno, gli ufficiali delle scuole di Pechino hanno seguito la consegna dei testi d’esame fino alle scuole attraverso l’uso di GPS, per assicurarsi che le domande non venissero rivelate in anticipo. Sempre per assicurare la serietà delle prove, in diverse province si sono utilizzati droni con incorporati degli scanner per scoprire eventuali furbate da parte di studenti attraverso segnali radio. Siccome gli studenti non possono portare nessun apparecchio elettronico nell’aula, il drone è capace di scovare anche quelli più “nascosti”, come per esempio le telecamere posto all’interno di penne, occhiali e termos.

Chi viene beccato a barare rischia non solo di essere squalificato impedendo la continuazione degli studi, ma da quest’anno fino a 7 anni di carcere. Non resta dunque che pagare qualcun altro perché faccia l’esame al proprio posto.


Il testo di questo post è stato utilizzato per realizzare la puntata “Esame di maturità: il gaokao” per Radio Meyooo, disponibile direttamente sul sito della radio o su Ipodcast cercando “Radio meyooo”.

venerdì 10 giugno 2016

La festa delle barche drago

Sono in vacanza. Ogni tanto gli amati cinesi ci concedono di riposarci e goderci un po’ l’esistenza. Si ricorda la festa delle barche drago, una celebrazione nazionale cinese che si tiene sempre il quinto giorno del quinto mese del calendario cinese (lunare). Vediamo un po’ di cosa si tratta.

Leggenda
La leggenda vuole che con la Festa delle Barche Drago si commemori il primo poeta cinese, di nome Qu Yuan (ca. 340 a.C.-278 a.C.), ministro leale e fedele dell'antico stato di Chu durante il periodo dei regni combattenti (475-221 a.C.). Qu Yuan, per garantire l'indipendenza della sua patria, si adoperò nel fare in modo che il suo stato si alleasse con altri contro lo stato di Qin che minacciava di conquistarli tutti. Tuttavia, il re, spronato da altri ministri, decise invece di allearsi con lo stato di Qin e fece allontanare Qu Yuan che, in uno stato di totale depressione, si ritirò in esilio e si dedicò alla letteratura e alla poesia. Raccolse infatti molte leggende e odi popolari in una celebre rassegna della letteratura cinese chiamata “Chu Qi” (che in realtà sembrerebbe essere stata compilata da qualcun altro), aggiungendo suoi versi personali. Qu Yuan è infatti famoso per essere il primo poeta a cui vengono effettivamente attribuiti dei versi (prima venivano scritte le poesie ma gli autori erano ignoti) e per aver creato dei poemi i cui versi non si limitavano ad avere quattro caratteri, come voleva la tradizione fino a quel momento, bensì avevano varia lunghezza.

Quando Qu Yuan scoprì che il regno di Chu era stato conquistato da Qin, si suicidò annegandosi nel fiume Miluo. Gli abitanti del luogo, sapendo che era un uomo buono, si precipitarono a salvarlo remando a tutta forza a bordo di lunghe e strette barche simili a canoe che loro chiamavano barche drago, in cinese “longchuan”. Per impedire ai pesci di divorarne il corpo, inoltre, essi gettarono loro del cibo e tentarono di allontanarli spaventandoli con il suono dei tamburi e con il rumore dei remi sbattuti in acqua. Da questi eventi sarebbe quindi nata la tradizione della festa, che prevede la corsa delle barche drago, accompagnate da gong e tamburi, in ricordo della tragica sorte di Qu Yuan. Durante la festa, inoltre, si consumano involtini di riso chiamati “zongzi”, che simboleggiano il cibo gettato in acqua per nutrire i pesci.

Ecco dunque l’origine delle due più importanti caratteristiche di questa festa: le barche drago e gli zongzi.

Le barche drago
Le barche drago sono delle imbarcazioni che, fin dall’antichità, venivano utilizzate come mezzi di locomozione sulla acque dai cinesi. Anche qui le leggende si sbizzarriscono: c’è chi dice che queste barche abbiano avuto origine presso una tribù chiamata Wuyue il cui totem era il drago. Altri dicono invece che le barche drago fossero state intagliate con la testa di drago per placare le acque durante le inondazioni: una credenza popolare credeva infatti che le acque agitate fossero dovute agli spiriti irrequieti dei draghi delle acque.

In ogni caso, le barche drago sono state utilizzate dalla popolazione cinese fin dal 500 a.C. e, nel giorno del Duanwu, si organizzano delle grandi gare di queste barche.

Le barche drago sono delle canoe costruite in legno di tek (legno ricavato appunto dall’albero teak e tipico del sud-est asiatico), possono essere lunghe fino a 25 metri e possono avere 10, 20, 50 posti fino ad arrivare a un massimo di 100 per le barche da sfilata. Solitamente, hanno una testa di drago in cima e una coda a poppa, unitamente a svariate decorazioni a scaglie sulla fiancata, proprio a ricordare la forma e le fattezze di un drago. Oltre ai vogatori, sulla barca vi sono anche un timoniere a poppa e un tamburino a prua: uno per dare la direzione, l’altro per dare il ritmo, mentre la leggenda dice per spaventare i pesci. Si rema seduti su assi di legno con una pagaia monopala e questa è la caratteristica peculiare di questo sport.


Come tutte le gare e gli sport che si rispettino, da semplice passatempo e tradizione, anche le corse delle barche drago sono diventate sempre più sofisticate e sono state quindi regolamentate con precisione. Nel 1991, infatti, nasce ad Hong Kong l’International Dragon Boat Federation (abbreviata in IDBF) con lo scopo di regolamentare proprio questa pratica.

Lo sport
La IDBF ha dunque fissato le regole delle sport delle barche drago. Le barche drago da gara sono lunghe 12,49 m, larghe 1,06 m e pesano 250 kg. Si tratta di barche a 20 posti, più timoniere e tamburino. La testa e la coda di drago devono essere uguali per tutte le barche e sono rimovibili: si usano solo durante le manifestazioni, ma non durante l’allenamento. Lo scafo è realizzato in vetroresina mentre le panche in legno. Le pagaie possono essere realizzate in alluminio, plastica o fibra di carbonio ma hanno delle dimensioni precise: da un minimo di 1,05 m a un massimo 1,30 m, con una larghezza massima di 18 cm. Non tutti possono realizzare barche drago da gara: date le specifiche, esistono dei rivenditori autorizzati.

Le gare di barche drago sono poche e difficili da realizzare perché si tratta di barche molto grandi e di difficile trasporto. Le prime gare erano su una distanza di 640 m (700 iarde), ma oggi vi sono anche da 250 m, 500 m e 1.000 m a cui possono partecipare equipaggi solo maschili, solo femminili, o misti con massimo 12 maschi e altre 8 femmine.

I primi campionati del mondo si tennero in Cina nel 1995 e anche l’Italia partecipò: nel 1997, inoltre, in Italia nacque la Federazione Italiana Dragon Boat (FIDB) e, in questa disciplina, si aggiudicò anche un titolo di campione d’Europa agli europei tenutisi in Danimarca nel 1996. L'attività del dragon boat è diffusa in particolare nel Lazio, in Trentino, in Toscana, in Campania, in Lombardia, in Piemonte ed in Veneto.

A Shanghai, le gare si sono tenute giovedì e venerdì sul Suzhou Creek, uno dei fiumi di Shanghai. Complice la giornata meravigliosa, molte persone si sono riunite sul lungofiume per godersi lo spettacolo mozzafiato dei vogatori che, a ritmo di tamburo, pagaiavano a velocità impressionante!




Il cibo
Il cibo, insieme alle corse delle barche drago, resta comunque la principale attrazione della festa.  Chiamati anticamente “jiaoshu”, gli zongzi sono fagottini di riso glutinoso, di forma conica, rotonda o a cuscinetto, avvolti in foglie di bambù e legati con una cordicella. Questi fagottini sono solitamente ripieni con le pietanze più disparate: dal classico maiale, possibilmente in umido, ai fagioli rossi, ma anche giuggiole, uova d’anatra, salsiccia, castagne, pollo, taro o gamberetti essiccati. Fino a qualche giorno fa, ero convinta che per preparare gli zongzi bisognasse prima preparare il riso al vapore, poi il ripieno e infine mettere tutto insieme in forma conica e chiudere il tutto con foglie di bambù e corda. Invece no: gli ingredienti si appaiano crudi e infine gli zongzi vengono cotti o al vapore o bolliti in acqua per circa mezz’ora. Ancora non mi capacito di come sia possibile far stare assieme i chicchi di riso crudi, ma tanto è che la mia collega me ne ha portati quattro, gentilmente preparati dalla mamma. Presentazione: mia madre non è brava a cucinare, ma ha fatto gli zongzi per la festa e allora te ne ho portati quattro. Grazie, cara C., ma lavora un po' sulla tua capacità di presentazione!


Sono stata fortunata: erano non solo commestibili, ma anche buoni (chiaramente un panino crudo e caprino è diverso, ma nell’insieme della cucina cinese erano buoni). Ne avevo due al maiale, uno al maiale e erbette e infine uno al fagiolo rosso, giuggiole e castagne, il cosiddetto “zongzi dolce”.




Tra le altre usanze tipiche della festa delle barche drago ricordiamo sicuramente la decorazione della casa. Durante la festa, si possono appendere alle porte delle case rametti di artemisia e di tifa, due erbe medicinali, che secondo la medicina cinese, scongiurano le influenze maligne, prevengono e curano malattie che possono facilmente insorgere al principio dell'estate, a causa del clima umido e della diffusione degli insetti nocivi. I bambini, inoltre, ricevono vari portafortuna da indossare: fili di seta di cinque colori, simbolo di longevità, una borsetta ricamata a forma di tigre o di zucca, piena di aromi, da portare al collo, scarpe a forma di testa di tigre per i piedini e sul petto una pettorina con una tigre ricamata.

Questo testo è stato utilizzato per realizzare la puntata di Cineserie "Le barche drago" per Radio Meyooo, disponibile all'ascolto sul sito della radio o come Podcast cercando "Radio Meyooo". 

venerdì 3 giugno 2016

Telenovela Song - Puntata 1: Charlie Song

Questo post trae spunto da un bellissimo libro che mi è stato prestato dalla mia amica B. e che ho letto molto volentieri nei miei svariati viaggi tra Cina e Italia. Il libro parla della Famiglia Song i cui componenti, in diversi anni e per svariate ragioni, hanno determinato il destino dello stato cinese. Mentre le prodi gesta di Sun Yat-Sen, sua moglie Song Qingling, o di Chiang Kai-Shek e sua moglie Song Meiling sono abbastanza note, poco famosa, ma oggetto di grandi pettegolezzi, è l’intricata storia di questa famiglia e di tutti i suoi membri.


Ho pensato di dedicare dunque una serie di post alla storia di questa famiglia, pensandola come una sorta di telenovela a puntate.

Da dove nasce la famiglia Song? Bisogna partire dal patriarca Charlie, ovvero il padre di Qingling e Meiling. Secondo gli storici, Charlie è un cinese Hakka originario dell’isola di Hainan, a sud della Cina, la cui famiglia era originariamente emigrata dal nord della Cina. La famiglia di Charlie era costruttrice di navi e commerciante: avevano una flotta di navi che era in grado di solcare l'oceano fino a Sumatra, in Indonesia, ma anche Canton, Macao, Shantou, Xiamen fino a Hanoi in Vietnam. Appartenevano inoltre alla setta segreta Chiu Chao, i cui membri erano principalmente cinesi dell'area di Shantou, i cui antenati erano attivi esponenti della resistenza contro i Manchu, la dinastia mongola che aveva spodestato i Ming dal trono. Dal momento che la resistenza si era rivelata inutile e i Manchu avevano preso il potere dando vita alla dinastia dei Qing, i membri di questa associazione erano di fatto diventati rifugiati politici e, per paura di persecuzioni, si erano dispersi nel resto del sud-est asiatico. Questo tratto comune aveva tuttavia permesso loro di creare una rete segreta di conoscenze, tradizioni, dialetti e aiuti che si estendeva per vari mari e oceani.

All'età di nove anni, il papà decise che Charlie era pronto per salpare i mari e imparare il mestiere all'estero: partì dunque alla volta di Giava con un fratello maggiore nel 1875. Dopo aver servito come marinaio per il fratello, nel 1878 all'età di dodici anni, Charlie salpa con uno "zio" (un membro della setta Chiu Chao, non è chiaro se sia effettivamente un parente) verso gli Stati Uniti, in particolare Boston. Tale zio era emigrato negli Stati Uniti parecchi anni prima, dove aveva lavorato duramente come “coolie” nella costruzione di strade, ferrovie e altre infrastrutture negli Stati Uniti. Dopo aver raccolto i fondi necessari, si era infine stabilito a Boston e aveva aperto una stamperia in cui Charlie trovò impiego.

A Boston, Charlie conobbe altri cinesi appartenenti ad alcune famiglie facoltose di Shanghai, emigrati in America a studiare. Due di questi cinesi, chiamati B.C. Wen e S.C. New, divennero buoni amici di Charlie e cercarono di convincere lo zio a far studiare anche lui in America. Invano purtroppo, dato che lo zio era irremovibile: a gennaio del 1979 Charlie decise di scappare dalla stamperia dello zio e di imbarcarsi segretamente su una nave chiamata Gallatin. I marinai della nave lo trovarono solamente in mare aperto e il capitano della nave, Eric Gabrielson, decise di tenerlo con sé. Gabrielson era infatti un norvegese arrivato in America poco prima della guerra civile, al termine della quale finalmente i neri d'America avevano trovato la libertà. Era inoltre un fervente cristiano della Chiesta metodista, devoto nel fare del bene e convinto nel non voler rimandare Charlie alla “schiavitù” dello zio cinese.

Proprio su questa nave Charlie ottenne il suo nome. Il suo vero nome cinese era Han Jiaozhun, di cui Han è il cognome, e Jiaozhun il nome. L'origine del nome Charlie Song sta probabilmente nella fonetica: quando Gabrielson chiese a Cherile come si chiamava, egli rispose “Jiaozhun” che, pronunciato con l'accento di Charlie, suonava come Charles Soon, poi diventato Charles Sun e infine traslitterato in cinese come Song.

Gabrielson introdusse Charlie alla religione cristiana, lo presentò al reverendo del paese, il quale contribuì alla definitiva conversione di Charlie verso il cristianesimo, atto che ebbe una grande impressione sulla comunità del posto dato che si trattava del primo cinese a essere convertito e ad aver “trovato la gioia nel Signore”. Tra i commossi, vi era un certo Moore che comprese subito le potenzialità di un ragazzo cinese convertito: la Cina rappresentava all'epoca la nuova frontiera delle missioni, un territorio inesplorato con enormi capacità di conversione dove svariati metodisti già operavano.

Moore si convinse che era necessario dare un'educazione improntata al cristianesimo a Charlie allo scopo appunto di farlo tornare in Cina per incrementare le attività missionarie. Trovò un benefattore, un uomo facoltoso dal nome Julian Carr, capo di due importanti aziende di tabacco e tessitura statunitensi. Carr era il tipo d'uomo ben disposto a fare beneficenza e ad aiutare tutti coloro che si trovavano in difficoltà, incluso Charlie, che entrò dunque al Trinity college nel 1881. Lì gli insegnarono i fondamenti della lingua inglese scritta e parlata, la matematica ma soprattutto la Bibbia, dato che Charlie doveva appunto diventare un missionario. L'anno dopo tuttavia Charlie fu cacciato dal Trinity college perché a quanto pare si era infatuato e aveva fatto delle avances alla figlia di un professore. Fu quindi trasferito al Vanderbilt college di Nashville, dove rimase fino al 1885. Il rettore del college era infatti anche capo delle missioni nella Cina del Sud, luogo dove appunto Charlie doveva essere mandato.

Nel 1886, Charlie fu quindi spedito a Shanghai, dove la missione metodista aveva sede con a capo il reverendo Young Allen. Il reverendo non vedeva Charlie di buon occhio perché lo percepiva come un approfittatore (aveva beneficiato per motivi sconosciuti dell’aiuto di personaggi facoltosi per la sua istruzione), ma soprattutto perché Charlie era diventato un non-cinese. Si vestiva all’occidentale, pensava come uno straniero e per giunta non parlava la lingua del posto: Charlie parlava infatti il dialetto di Hainan ma non quello di Shanghai. Fu quindi relegato a coprire i lavori più umili nelle zone più remote della missione finché un giorno, per caso, Charlie incontrò i suoi due vecchi amici di Boston: B.C. Wen e N.C. New. Loro intuirono che il problema principale di Charlie era rientrare nella società cinese, e quale modo migliore di farlo se non sposare una ragazza cinese di Shanghai e di buona famiglia?

I due ragazzi erano infatti sposati con le sorelle Ni, la cui madre di cognome faceva Xu ed era peraltro la discendente di Xu Guangqi, il primo “italiano” di Shanghai, come avevamo raccontato qui. Le sorelle in tutto erano tre, di cui l’ultima, Ni Guizhen, era ancora nubile: nessuno la voleva perché non le erano stati fasciati i piedi da piccola e, nella mentalità comune, questo era un tratto poco apprezzabile per trovare marito.

Nel 1887, Charlie sposò quindi Ni Guizhen e, per i primi anni di matrimonio, vissero a Kunshan, cittadina nella periferia di Shanghai, un posto remoto e di difficile socializzazione. La missione, nonostante Charlie facesse carriera, non rendeva molto ed era molto difficile campare solamente di quello. Grazie alle nuove relazioni con Wen e New, Charlie venne introdotto a una triade di Shanghai chiamata “Banda Rossa” (Red Gang, in inglese). Questa triade, anch’essa nata quando la dinastia Ming era stata sconfitta dai Manchu, aveva una forte vocazione anti-mancese ma raccoglieva comunque gli esponenti più facoltosi della città. Grazie al supporto della triade e dei suoi cognati, Charlie decise di tentare la fortuna con un business privato. Nel 1889 diventò agente per l’”American Bible Society”, una società che vendeva la Bibbia per il mondo. All’epoca esisteva solamente una versione in cinese classico della Bibbia (quindi accessibile solo alle classi abbienti) ed era per giunta molto difficile stampare libri in cinese perché, a differenza dell’inglese dove bisogna mettere insieme solo 26 lettere, con il cinese bisognava creare i tasselli per ogni carattere. Grazie alla sua esperienza nella stamperia dello zio e ai fondi e alle conoscenze messe a disposizione dalla Banda Rossa, Charlie fondò una sua stamperia chiamata “Stampa Sino-americana” e si mise a stampare libri e altri materiali per tutti coloro che ne avevano bisogno.

Nel frattempo sua moglie era rimasta incinta e aveva dato alla luce due figlie: la prima, Ailing, nel 1890 e la seconda, Qingling, nel 1892. Nello stesso anno, Charlie decise di dare le dimissione dal suo lavoro come missionario, dedicandosi al 100% al suo business privato, garantendo tuttavia il suo contributo al catechismo della domenica. Charlie era infatti un uomo molto ambito dalle imprese: si trattava di un cinese con educazione americana che poteva rappresentare un ottimo elemento di intermediazione tra i due paesi, non solo per gli occidentali che tentavano di espandere le loro attività in Cina, ma anche per i cinesi stessi che tentavano di costruire un sistema industriale a imitazione di quello occidentale. Charlie divenne così socio di diverse industrie nella produzione di farina e pasta, ma anche tabacco e materiali tessili. Da semplice missionario, Charlie era diventato in pochi anni un abile e facoltoso industriale, di casa nel distretto di Hongkou a Shanghai. Nella sua nuova abitazione, in stile occidentale e con una grande veranda, nacquero gli altri suoi quattro figli: il primo maschio, Tse-Ven, conosciuto ai più come T.V., un’altra femmina, la famosa Meiling, infine altri due maschi, Tse-Liang e Tse-An, conosciuti come T.L. e T.A.

I primi quattro figli, Ailing, Qingling, T.V. e Meiling contribuirono fortemente a cambiare il destino della Cina nel ventesimo secolo, mentre gli ultimi due vissero leggermente in disparte: i primi quattro furono infatti educati da un padre energico, positivo e convinto delle ampie possibilità di chiunque abbia intraprendenza; gli ultimi due invece vissero i momenti di sconforto e di passività del padre che ormai aveva raggiunto una veneranda età.

Aggiungo un’ultima nota alla prima puntata della telenovela Song. La triade della Banda Rossa rappresentò per Charlie un importante mezzo di relazione con il resto della società cinese: proprio grazie alla triade conobbe infatti il suo migliore amico, Sun Wen, conosciuto ai più con il nome di Sun Yat-Sen, primo presidente della Repubblica di Cina e ispiratore del movimento rivoluzionario che portò alla fine dell’impero in Cina nel 1911.


Questo post è stato utilizzato per creare la puntata “Telenovela Song” per Radio Meyooo, disponibile direttamente sul sito della radio o su Ipodcast cercando “Radio Meyooo”.